Vietare un diritto non è “tolleranza zero”

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VITTORIO RAIO

In poco più di tre mesi, ovvero sino alla fine della stagione agonistica, il Napoli e le squadre della Capitale si troveranno ad affrontarsi almeno quattro volte: Lazio-Napoli nell’andata di Coppa Italia (4 marzo); Roma-Napoli in campionato (4 aprile); Napoli-Lazio, ritorno di Coppa (8 aprile); Napoli-Lazio, nell’ultima giornata del campionato (31 maggio). I confronti, però, potrebbero diventare sei se il caso, ovvero il sorteggio, dovesse decidere di far affrontare Napoli e Roma anche in Europa League. Vero che i giallorossi di Garcia dovranno prima superare l’impegno in Olanda dopo il pari all’Olimpico (compito non semplice per il momento che vivono Totti e compagni), ma un nuova doppia sfida tra il Napoli (una formalità, giovedì, il ritorno con i turchi) e la Roma non la si può escludere. Tutti questi match, ovviamente, danno non poche preoccupazioni a chi deve controllare l’ordine pubblico. Si teme che gli affascinanti incontri in campo possano far registrare scontri tra tifosi soprattutto al di fuori degli stadi. A Napoli e a Roma, considerando i precedenti di gratuita, folle quanto gravissima violenza.
Il primo provvedimento è stato quello di vietare le trasferte. Non è da escludere che lo stesso possa registrarsi in occasione delle prossime partite-derby. Vietare pensando di risolvere il problema. Non credo che vietando si risolvano i problemi. E’ vero che la morte di una persona (l’ennesima) debba far riflettere, che debba far prendere provvedimenti anche impopolari, ma se negli anni non è stata trovata un’altra soluzione valida ai semplici divieti, significa che lo Stato si è arreso. Dove è finita la tanto strombazzata “tolleranza zero”? Perché vietare a chi si comporta in modo civile di seguire la propria squadra del cuore? Per cento, duecento facinorosi-delinquenti si toglie il gusto di un derby a migliaia e migliaia di persone che vivono (calcisticamente parlando) anche per queste gare dal sapore particolare. Sono gare che hanno inizio ben prima del fischio d’avvio degli arbitri: la presa in giro dei rivali, gli sfottò, l’individuare le pecche degli avversari, l’organizzazione per seguire i propri beniamini… Si potrebbe obiettare: rispetto agli incidenti, alla morte, tutto viene in second’ordine. Giusto, giustissimo, ma lo Stato non può arrendersi definitivamente dinanzi ai violenti negando un sacrosanto diritto al divertimento a tantissimi altri cittadini. Vietare le trasferte è il provvedimento più semplice, banale perché non si ha la forza e la voglia di intervenire punendo chi sbaglia. Si sceglie di accomunare nel provvedimento-pena buoni e cattivi. E’ roba da Ponzio Pilato. E’ il brutto del calcio, è un passo importante verso la disaffezione, è una sconfitta dello Stato che più di una volta si è riempito la bocca: “D’ora in poi tolleranza zero”.